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Sindromi Coronariche Acute (SCA)

Per sindromi coronariche acute (SCA) si intende un gruppo di manifestazioni cliniche determinate da ischemia miocardica acuta, cioè una riduzione repentina e critica del flusso sanguigno al tessuto cardiaco. La causa più frequente di questo improvviso calo del flusso ematico è la rottura o erosione di una placca aterosclerotica coronarica “vulnerabile”, a cui segue l’aggregazione piastrinica e la sovrapposizione trombotica, con conseguente riduzione o arresto del flusso ematico.

La coronaropatia aterosclerotica è un processo progressivo nel tempo, contraddistinto dall’evoluzione della placca aterosclerotica. In condizioni di normalità la superficie interna delle arterie si presenta liscia; quando il colesterolo si deposita sulle pareti interne si forma la placca aterosclerotica, che può aumentare di dimensioni nel tempo (placca stabile). Quando la superficie della placca si rompe (placca vulnerabile) il sangue del torrente circolatorio entra in contatto con il contenuto della placca stessa, innescando i processi di coagulazione e quindi l’attivazione delle piastrine, con successiva formazione di un trombo; questo causerà occlusione o sub-occlusione dell’arteria, impedendo il flusso sanguigno e quindi l’apporto di ossigeno e substrati al muscolo cardiaco irrorato. Quando l’arteria interessata dalla trombosi è un vaso epicardico completamente occluso, dopo circa 15 minuti si instaurerà un infarto miocardico acuto, partendo dall’endocardio verso l’epicardio; nel caso prevalgano i fenomeni di lisi del trombo, e si abbia una sub-occlusione dell’arteria, si svilupperà un’angina instabile. L’entità dell’ischemia dipende anche dall’instaurarsi o meno di circoli collaterali e dal consumo di ossigeno miocardico.

Le sindromi coronariche acute possono essere classificate in base all’entità e alla persistenza della stenosi/occlusione, e alla quantità di tessuto miocardico che va in necrosi, nei seguenti quadri clinici:

– Angina instabile: si tratta di un’ischemia miocardica acuta senza significativa necrosi miocardica.

– Infarto miocardico acuto senza sopraslivellamento del tratto ST (non ST-segment elevation myocardial infarction, NSTEMI): è il quadro di infarto meno grave ed è dovuto ad ischemia miocardica acuta, associata a necrosi miocardica subendocardica; in questo caso gli indici di necrosi sono superiori alla norma.

– Infarto miocardico acuto con sopraslivellamento del tratto ST (ST-segment elevation myocardial infarction, STEMI): è il quadro di infarto più grave; è causato da ischemia miocardica acuta, associata a necrosi a tutto spessore del miocardio, con innalzamento significativo degli indici di necrosi.

Le malattie cardiovascolari sono la principale causa di mortalità e morbilità dei paesi occidentali; la loro incidenza è in progressivo aumento, in ragione dell’incremento della vita media. Si stima che in 1 anno oltre 135.000 individui siano colpiti da un evento coronarico e che, per 45.000 di questi, l’evento risulti fatale. I dati Istat, relativi all’anno 2009 in Italia, indicano le malattie cardiovascolari come prima causa di morte, con 224.830 decessi, pari al 38,2% dei decessi totali. La mortalità preospedaliera si attesta attorno al 30%, mentre la durata media della degenza è di circa 6 giorni. Il 30% dei pazienti con sindromi coronariche acute sono donne; un terzo dei soggetti colpiti ha un’età superiore ai 75 anni, un quarto è affetto da diabete. La prevalenza dei pazienti con infarto miocardico acuto senza sopraslivellamento del tratto ST (NSTEMI) è aumentata rispetto a quelli con infarto con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI). Negli ultimi 10 anni i dati statistici indicano, inoltre, che la mortalità delle sindromi coronariche acute è diminuita; il risultato è correlato alle nuove strategie terapeutiche: si stanno infatti diffondendo sul territorio nazionale delle reti di collegamento, tra ospedali di riferimento e periferici, le quali permettono di garantire l’esecuzione di angioplastica coronarica primaria a tutti i pazienti con STEMI.

I principali fattori di rischio di coronaropatia sono:

– Familiarità: la presenza di malattie cardiache di tipo coronarico in genitori o fratelli aumenta il rischio di SCA. – Genere: i maschi hanno una maggiore incidenza di cardiopatia ischemica, ma solo rispetto alle donne in età fertile gli estrogeni sembrano infatti esercitare un’azione protettiva nei confronti di questa patologia; le donne in post-menopausa, invece, hanno lo stesso rischio degli uomini.

– Età: in genere le coronaropatie colpiscono dopo i 45 anni.

– Fumo: tra gli uomini forti fumatori (più di 15 sigarette al giorno) di età compresa tra i 45 ed i 54 anni, il rischio di morire di cardiopatia coronarica è stato valutato tre volte superiore rispetto ad un non fumatore; ciò è dovuto sia ad una azione diretta del fumo stesso, sia ad una ridotta tolleranza all’esercizio fisico.

– Ipertensione arteriosa: riscontro ripetuto di valori pressori uguali o superiori a 140 mmHg di pressione massima (sistolica) e 90mmHgdi pressione minima(diastolica).

– Diabete mellito.

– Obesità: è una malattia cronica, caratterizzata da uno o più dei seguenti parametri: – indice di massa corporea – BMI =30 Kg/m² – Peso corporeo maggiore del 30% rispetto al peso ideale – Riscontro alla plicometria di valori superiori al 95° percentile. Un’obesità di tipo centrale o addominale è associata ad un aumentato rischio di cardiopatia ischemica.

– Ipercolesterolemia: in particolare alti livelli di lipoproteine a bassa densità (LDL), bassi livelli di lipoproteine ad alta densità (HDL) e rapporto LDL/HDL >3 .

– Iperomocisteinemia: la presenza eccessiva di omocisteina a livello ematico (valori normali: <13 µmol/l) è considerato un importante e indipendente fattore di rischio per problematiche cardiovascolari. – Alimentazione scorretta: dieta ricca di grassi, specie d’origine animale.

– Vita sedentaria: scarsa attività fisica.

– Vita stressante

Il sintomo principale delle sindromi coronarie acute è il dolore toracico. Il dolore viene riferito con caratteristiche oppressive e costrittive, come un senso di compressione, pesantezza, di soffocamento e di oppressione a livello del torace. La sede più spesso riferita è quella retrosternale, con irradiazione all’epigastrio, al braccio sinistro (lato ulnare) , alla spalla, al collo, alla mandibola, al dorso e al braccio di destra. Se la durata del dolore è inferiore a 20 minuti, solitamente si tratta di angina instabile; se invece la durata della sintomatologia dolorosa è maggiore di 20 minuti è verosimile si tratti di infarto, cioè di necrosi del miocardio; se il dolore continua per diverse ore con intensità variabile, può trattarsi di infarto miocardico con necrosi della parete (STEMI). Inoltre il paziente può lamentare dispnea ingravescente (in genere associato ad infarti di medie-grandi dimensioni). Associati al dolore si presentano anche sintomi neurovegetativi come:

– nausea

– vomito

– sudorazione fredda

– prostrazione

– senso di angoscia.

Nel 30% dei casi, in particolare in soggetti diabetici o anziani, i sintomi neurovegetativi possono presentarsi in assenza di dolore. In alcuni casi si può avere una Sindrome Coronarica Acuta senza dolore: per questi pazienti la diagnosi viene formulata a posteriori, durante l’esecuzione di esami strumentali come ECG, scintigrafia o ecocardiografia, i quali evidenziano l’avvenuta necrosi tessutale.

La diagnosi di sindrome coronarica acuta si basa sulla raccolta anamnestica, sulla sintomatologia presentata dal paziente, sull’esecuzione di ECG e su esami ematochimici per la ricerca degli enzimi, indici di necrosi cardiaca. Questi esami sono necessari per distinguere i pazienti con infarto miocardico acuto con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) da soggetti con infarto miocardico acuto senza sopraslivellamento ST (NSTEMI), e da altri pazienti con angina instabile.

Sintomatologia: è possibile valutare se un dolore toracico è riferibile o meno a causa cardiaca utilizzando il cosiddetto “Chest Pain Score” (CPS), la sua applicazione prevede l’assegnazione di un punteggio alla localizzazione, carattere, irradiazione del dolore e agli eventuali sintomi associati.

Elettrocardiogramma L’ECG riveste un ruolo di fondamentale importanza nella diagnosi delle sindromi coronariche acute. Consente di effettuare la diagnosi di infarto, ma anche approssimativamente la sua posizione e la sua estensione. Elettrocardiogramma nello STEMI L’alterazione ECG caratteristica dell’infarto transmurale, cioè che coinvolge l’intero spessore del muscolo cardiaco, è il sopraslivellamento del tratto ST >1 mm, con convessità rivolta verso l’alto. Comparsa di onde Q patologiche. Elettrocardiogramma nel NSTEMI e nell’angina instabile L’alterazione dell’ECG caratteristica in caso di angina instabile o NSTEMI è il sottoslivellamento del tratto ST >1 mm.

Esami ematochimici Le cellule cardiache (miociti) , quando vanno incontro a necrosi, liberano alcune sostanze (enzimi o proteine) rintracciabili e dosabili nel sangue, il cui dosaggio ripetuto è in grado di fornire fondamentali indicazioni cliniche.

Gli enzimi maggiormente utilizzati sono:

– Troponina (Tn): è un marcatore cardiaco specifico molto sensibile. In caso di infarto miocardico la Troponina T aumenta nel siero dopo 2-4 ore dall’inizio dei sintomi, presenta il picco massimo dopo 8-12 ore, rimanendo elevata fino a circa 14 giorni.

– Creatinchinasi CK-MB: è un marcatore di necrosi cardiaca; i suoi valori risultano elevati dopo circa 3-8 ore dall’insorgenza del dolore. Può rimanere rilevabile per lungo tempo.

– Latticodeidrogenasi LDH: utile nella diagnosi di infarto miocardico, quando il paziente giunge all’osservazione tardivamente, poiché il suo picco massimo si verifica dopo 4-5 giorni e il valore rimane elevato per 15-20 giorni. SGOT: il picco è evidenziabile nelle 36 ore, ritornando alla normalità dopo 5-6 giorni.

– Mioglobina: è un marcatore molto precoce di necrosi cardiaca, potendosi rintracciare dopo poche ore dall’insorgenza dei sintomi, evidenziando un picco dopo 4-12 ore e normalizzandosi dopo circa 24 ore.

Il trattamento delle Sindromi Coronariche Acute prevede l’utilizzo di numerosi farmaci:

– somministrazione di ossigeno,

– analgesici,

– antiaggreganti piastrinici,

– anticoagulanti,

– betabloccanti,

– ACE-inibitori,

– calcioantagonisti.

Nei pazienti con infarto miocardico con necrosi a tutto spessore (STEMI) è inoltre necessario ripristinare rapidamente il flusso ematico nell’arteria coronarica occlusa: questo può essere ottenuto tramite terapia fibrinolitica o mediante interventi percutanei di rivascolarizzazione coronarica: con angioplastica coronarica, cioè la ricanalizzazione meccanica, con o senza impianto di stent, del vaso responsabile dell’infarto. Angioplastica coronarica transluminale percutanea (PTCA – Percutaneous Transluminal Coronary Angioplasty, o PCI – Percutaneous Coronary Intervention) E’ una procedura di cardiologia interventistica, mediante la quale può essere ricanalizzata la maggior parte delle stenosi coronariche. L’angioplastica è preceduta e associata alla coronarografia, che permette la visualizzazione delle coronarie. Prevede l’utilizzo di un catetere sottile, che viene inserito attraverso un’arteria, arrivando fino al cuore. Il catetere ha sulla punta un palloncino, che viene posizionato (sotto guida radioscopica) al centro della stenosi coronarica e viene successivamente gonfiato, in modo da comprimere i depositi a placca presenti all’interno dell’arteria coronaria, ripristinando in tal modo il flusso ematico. Durante l’intervento possono essere posizionati degli stent coronarici, ossia dei “tubicini” espandibili a rete metallica, i quali vengono lasciati in sede affinché il vaso rimanga pervio. Vengono anche utilizzati degli stent medicati che, oltre a rappresentare un supporto strutturale all’arteria coronaria, possiedono un rivestimento medicato, il quale aiuta a prevenire la restenosi del vaso, assicurando una pervietà del vaso a più lungo termine.

Adottando un corretto stile di vita è possibile contribuire significativamente a ridurre alcuni fattori di rischio correlati alle Sindromi Coronariche Acute e alle coronaropatie associate. Risultano utili i seguenti comportamenti:

– Astensione dal fumo.

– Limitare l’assunzione di alcol.

– Effettuare moderato esercizio fisico con regolarità. Per ridurre il rischio di malattia cardiovascolare si consiglia lo svolgimento di un’attività fisica moderata, per esempio camminare, per almeno 30 minuti al giorno per almeno cinque giorni alla settimana.

– Raggiungere e mantenere il peso forma. L’obiettivo è di raggiungere un indice di massa corporea (BMI) di 18,5-24,9 Kg/m².

– Seguire una dieta sana: privilegiare assunzione di frutta e verdura, evitando eccessivo consumo di carni rosse; in particolare limitare il consumo di acidi grassi saturi ed introdurre nella dieta acidi grassi poli-insaturi.

– Tenere sotto controllo lo stress.

– Particolare attenzione deve essere riservata ai pazienti che presentano famigliarità per malattia coronarica precoce, o affetti da condizioni che possono associarsi a problemi cardiaci, come l’ipertensione arteriosa, l’iperlipidemia, il diabete mellito. E’ fondamentale attenersi alle indicazioni e alle terapie farmacologiche proposte dal curante, allo scopo di ridurre il rischio di eventi gravi.

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