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Schizofrenia

La schizofrenia è un disturbo mentale cronico, grave, caratterizzato da sintomi psicotici, apatia, ritiro sociale e deficit cognitivi, i quali causano problemi nello svolgimento delle attività quotidiane (lavoro, studio) e nelle relazioni sociali (famigliari ed interpersonali). La schizofrenia è una malattia mentale che compromette la capacità della persona di individuare la realtà, di giudicare e pensare correttamente, di gestire le emozioni e comunicare in modo congruo. La schizofrenia è un disturbo mentale altamente invalidante, sia perché limita l’autonomia di chi ne è affetto, che per la stigma che tale condizione comporta per il paziente stesso e per la sua famiglia. E’ quindi una condizione con elevati costi sociali, sanitari ed economici.

La schizofrenia è un disturbo universale: colpisce le persone che vivono sia nei paesi in via di sviluppo, sia nelle aree più industrializzate. L’incidenza (ossia il numero di nuovi casi per anno) della malattia è stimata in circa 0.2 per 1000, quasi 2 milioni di casi nuovi all’anno. Il tasso di incidenza è maggiore nel sesso maschile che in quello femminile, con un rapporto maschi/femmine pari a 1,40; risulta maggiore anche l’incidenza tra gli immigrati rispetto alle popolazioni native. Per quanto riguarda la prevalenza del disturbo riferita alla intera durata della vita, si riscontra pari a 4,0 (1,6-12,1) per 1.000; in Italia, quindi, si può stimare che circa 245.000 persone sono o sono state affette da un disturbo di tipo schizofrenico. L’età media di comparsa del disturbo è compresa tra i 15 ed i 35 anni, con un valore mediano dell’età di insorgenza pari a 22 o 23 anni. I tassi di prevalenza sono simili nei due sessi, riscontrando però nelle femmine un esordio più tardivo di circa 3-4 anni rispetto ai maschi; inoltre nel sesso maschile la malattia sembra avere un decorso più grave e una prognosi peggiore rispetto al sesso femminile. L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha stabilito che la schizofrenia è responsabile dell’1,1% del totale di “anni di vita persi” a causa della disabilità (DALYs, Disability Adjusted Life Years) e del 2,8% del totale di anni vissuti in condizioni di disabilità.

La schizofrenia è una malattia ad eziologia ignota nella quale è probabile che siano implicati diversi fattori di rischio, che agiscono su un substrato di suscettibilità geneticamente determinato. Nell’ambito di un’eziologia multifattoriale, un fattore di rischio importante è la familiarità per il disturbo; ciò emerge dallo studio sulle probabilità di sviluppare la malattia, con rischio stimato circa all’ 1% per la popolazione generale, mentre per i parenti di primo grado di un malato, sia cresciuti nello stesso ambiente, sia dati in adozione, si aggira intorno al 10%, per arrivare al 48% nel caso di gemelli monozigoti. E’ probabile che i pazienti ereditino fattori genetici di rischio, che interagendo tra loro e con l’ambiente portino allo sviluppo della malattia. I geni correlati al disturbo schizofrenico potrebbero essere individuati nei cromosomi 6,13 e 22; anche i geni per il recettore della dopamina, DRD3 e per il recettore della serotonina, 5HT2a, potrebbero svolgere un ruolo significativo nell’insorgenza della malattia. I rischi ambientali per la schizofrenia includono fattori biologici e psicosociali. Si è riscontrato un rischio di sviluppare la malattia maggiore in eventi prenatali, come infezione influenzale materna, fumo durante la gravidanza, o in eventi perinatali, in particolare in quelle complicanze ostetriche associate ad ipossia. Tra i fattori socio-demografici si individua la povertà e la bassa classe sociale.

I sintomi della schizofrenia generalmente sono caratterizzati da alterazioni della percezione, del pensiero e da un’affettività appiattita ed inappropriata. Lo stato di coscienza e le capacità intellettuali sono solitamente conservate, anche se con il passare del tempo possono comparire dei deficit cognitivi. I sintomi della schizofrenia sono spesso classificati come positivi e negativi (Andreasen e Olsen 1982). Entrambi i tipi di sintomi, possono essere presenti in diversa proporzione nei diversi periodi della malattia e possono causare problemi nel funzionamento sociale del soggetto.

Sintomi positivi: sono relativamente facili da identificare, poiché riflettono una condizione evidentemente diversa dal normale, compromettendo significativamente il funzionamento sociale. Sono sintomi positivi: le allucinazioni, i deliri, il comportamento bizzarro e i disturbi formali del pensiero.

Sintomi negativi: sono spesso stigmatizzanti, in particolare nella cultura occidentale, perché vengono interpretati erroneamente come segni di pigrizia, di fragilità psicologica, di mancanza di volontà nel condurre una vita partecipata ed attiva, segno più di una scelta volontaria di uno stile di vita contraddistinto dal ritiro sociale e dalla non volontà di assumersi responsabilità, piuttosto che come sintomi di una malattia. I sintomi negativi sono: alogia (mancanza di logica), abulia (mancanza di volontà), deficit cognitivi (memoria, attenzione, funzioni esecutive), appiattimento affettivo.

SINTOMI POSITIVI

Allucinazioni – sono un disturbo della percezione: il soggetto ha delle false percezioni in assenza di stimoli esterni. Ciascuno dei cinque sensi può essere colpito da esperienze allucinatorie (uditive, tattili, gustative, olfattive e visive).

Allucinazioni uditive: il soggetto riferisce voci, suoni o rumori. Le più comuni negli schizofrenici sono le voci di famigliari o di sconosciuti che commentano la vita o il comportamento del paziente (voci commentanti); oppure due o più voci possono dialogare tra loro, di solito a proposito di qualcosa che riguarda il paziente (voci dialoganti). Le voci possono apparire al paziente come minacciose, accusatorie, offensive o, al contrario, inoffensive ed amichevoli.

Allucinazioni cenestesiche: il soggetto ha delle false percezioni somatiche, come il prurito, o ha la percezione che il suo corpo sia cambiato di forma.

Allucinazioni olfattive: il soggetto sente, a volte riferiti al proprio corpo, degli odori inconsueti e sgradevoli.

Allucinazioni visive: il soggetto vede forme, colori e persone non realmente presenti.

Deliri – identificano disturbi del contenuto del pensiero; sono false convinzioni che possono più o meno influenzare il comportamento del soggetto.

Delirio di persecuzione: il soggetto ha la convinzione che qualcuno (amici, vicini, estranei) trami contro di lui; è convinto di essere seguito, che il suo telefono sia controllato, la sua casa perquisita.

Deliri megalomanici o di grandezza: la persona crede di avere capacità e poteri incomparabili. Può pensare di essere un personaggio famoso o dotato di talento straordinario nella scrittura, nella composizione musicale, o come inventore.

Delirio di gelosia: il soggetto crede, senza nessuna reale evidenza, che il proprio partner abbia una relazione con un’altra persona; cerca quindi qualsiasi indizio per tentare di provare tale relazione (scontrini, capelli, tracce di profumo…).

Deliri mistici: devono essere analizzati tenendo in considerazione il back-ground religioso e culturale dell’individuo. Si può presentare a carattere religioso, estatico o riguardare un sistema religioso nuovo (il soggetto pensa di essere il detentore di nuove verità soprannaturali e di possedere capacità divinatorie).

Delirio di riferimento: il soggetto crede che affermazioni o eventi si riferiscano specificatamente a lui; egli pensa, per esempio, che notizie trasmesse dalla tv si riferiscano a lui, o abbiano uno speciale significato che lo riguarda.

Delirio somatico: la persona crede che il proprio corpo sia cambiato, anormale, ammalato. Talvolta questo tipo di delirio può essere associato ad allucinazioni cenestesiche.

Delirio di influenzamento: il soggetto crede che le proprie azioni o sensazioni siano controllate da qualche forza esterna e non le riconosce come proprie, ma indotte da altro.

Delirio di diffusione del pensiero: l’individuo crede che i propri pensieri si diffondano al di fuori di sè in modo tale che le persone possano udirli.

Delirio di lettura del pensiero: la persona crede che altri conoscano i suoi pensieri perchè leggono nella sua mente.

Delirio di inserzione del pensiero: il soggetto crede che i propri pensieri non siano sviluppati personalmente, ma bensì inseriti nella sua mente contro il suo volere.

Comportamento bizzarro – la valutazione dei comportamenti bizzarri deve essere effettuata tenendo in considerazione le consuetudini sociali; il comportamento è inconsueto o strano in questi soggetti: per esempio spogliarsi in pubblico, vestire con più cappotti, sciarpa e guanti in una giornata afosa estiva, fare gesti strani, o assumere espressioni facciali incongrue, fare smorfie senza apparente motivo.

Disturbi formali del pensiero

Tangenzialità: le risposte della persona possono essere correlate alle domande in modo obliquo, o completamente non correlate.

Deragliamento: in un discorso spontaneo si assiste alla mancanza di coesione fra le frasi; le idee passano da un argomento ad un altro senza alcuna connessione.

SINTOMI NEGATIVI

Appiattimento affettivo: la persona mostra una diminuzione delle normali emozioni, apparendo emotivamente piatta e non in grado di rispondere alle varie situazioni esterne. Spesso il soggetto mostra reazioni inappropriate ed incongrue, può sembrare senza obiettivi, indeciso e spesso impulsivo; si evidenzierà una riduzione della mimica facciale, dei movimenti spontanei, della gestualità espressiva, delle variazioni del tono di voce.

Apatia/Abulia/Anergia: possono esserne segni la scarsa cura personale, anche nell’igiene, e la carenza di costanza sul lavoro; la persona sembra disinteressata alle attività quotidiane, presenta assenza di reattività emotiva (apatia), scarsa capacità decisionale e scarsa capacità volitiva, con inibizione dell’iniziativa (abulia), perdita di slancio vitale e delle forze (anergia).

Alogia: la persona può manifestare un linguaggio povero di contenuto e un eloquio lento; nei casi estremi il discorso può limitarsi a frasi brevi, altre volte il discorso può essere più lungo, ma senza nessun contenuto.

Anedonia/Asocialità: la persona presenta perdita di interesse per le attività ricreative, per l’attività sessuale, presenta difficoltà a fare e mantenere delle amicizie o conoscenze, diventa incapace di avere relazioni intime.

Deficit di attenzione: il soggetto mostra incapacità di focalizzare l’attenzione e si presenta facilmente distraibile.

Deficit di memoria: la persona può mostrare alterazioni della memoria a breve e lungo termine.

Deficit nelle funzioni esecutive: il soggetto mostra un deficit nell’elaborazione e nella risoluzione dei problemi e nello svolgimento di un progetto.

Sono stati identificati dei sottotipi di schizofrenia:

Tipo paranoide

In questo sottotipo dominano sintomi di tipo delirante o frequenti allucinazioni uditive (spesso associata a manifestazioni di rabbia o violenza) Poco rilevanti sono l’eloquio disorganizzato, il comportamento disorganizzato o catatonico, l’affettività appiattita o inadeguata

Tipo disorganizzato

In questo sottotipo dominano la disorganizzazione del linguaggio e del comportamento, con inadeguatezza e appiattimento dell’affettività, compromissione cognitiva; ha un esordio precoce. Se sono presenti deliri e allucinazioni, appaiono frammentati e non ben sistematizzati come nella forma paranoide.

Tipo catatonico

Attualmente questo sottotipo è di più rara osservazione, è caratterizzato da disturbi motori come arresto motorio (catalessia o stupor), eccessiva attività motoria afinalistica, negativismo estremo, tendenza ad assumere pose inadeguate e strane, stereotipie, ecolalia ed ecoprassia.

Tipo Indifferenziato

Questo sottotipo viene diagnosticato quando il quadro clinico non soddisfa i criteri citati per i tipi paranoide, disorganizzato e catatonico.

Tipo Residuo

I sintomi appaiono più sfumati, i pazienti che non hanno più importanti sintomi psicotici, ma continuano a presentare il disturbo.

Attualmente nel DSM 5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, giunto alla 5° edizione) i sottotipi di schizofrenia (cioè paranoide, disorganizzato, catatonico, indifferenziato e residuo) sono stati eliminati, poiché hanno dimostrato di avere una scarsa stabilità diagnostica ed affidabilità, inoltre non hanno evidenziato pattern distintivi di risposta terapeutica o di decorso a lungo termine.

La diagnosi di schizofrenia è clinica. Lo specialista psichiatra, attenendosi ai criteri suggeriti dal DSM 5, porrà diagnosi di schizofrenia quando il quadro soddisferà i seguenti criteri:

CRITERIO A. Due o più dei seguenti cinque sintomi caratteristici devono essere presenti per un periodo di tempo significativo, compreso nel periodo di osservazione (un mese o meno se trattati con successo): – deliri -allucinazioni -eloquio disorganizzato (frequenti deragliamenti o incoerenza) -comportamento disorganizzato -sintomi negativi: appiattimento dell’affettività, alogia, abulia.

CRITERIO B. – Disabilità sociale/occupazionale: marcata riduzione dell’efficienza sul lavoro, delle relazioni interpersonali o della cura di sé. Quando l’esordio riguarda bambini o adolescenti, si manifesta un’incapacità di raggiungere i livelli previsti di funzionamento interpersonale, scolastico o lavorativo.

CRITERIO C. – Durata dei sintomi: persistenza dei segni del disturbo per almeno 6 mesi. Durante tale periodo devono essere riscontrati per almeno un mese i sintomi del criterio A. – Esclusione di altre possibili cause: la valutazione specialistica psichiatrica escluderà che i sintomi siano attribuibili a disturbi dell’umore, ad una condizione patologica internistica o all’abuso di sostanze. Per escludere altre possibili cause il medico potrà prescrivere esami ematochimici o strumentali di accertamento.

La schizofrenia è una malattia cronica, con un decorso che comprende una fase prodromica, iniziale e spesso sfumata, una fase attiva nella quale i sintomi si presentano in forma conclamata e una fase residua nella quale i sintomi si presentano in forma attenuata. Un soggetto che diventa schizofrenico può presentare nell’infanzia, prima di ammalarsi, un regolare sviluppo psicofisico, accompagnato dall’attitudine al gioco e alla socializzazione. E’ stato riscontrato che la “personalità premorbosa” (presente prima di ammalarsi) è molto variabile: -Nel 50% dei casi non si riscontrano tratti distintivi o comportamenti patologici prima dell’insorgenza della malattia. -Nel 25% vengono evidenziati tratti aspecifici, come un’elevata sensibilità, una certa instabilità ed una difficoltà a stare con gli altri. -Nel 25% sono identificabili i tratti di disturbo di personalità di tipo schizoide o schizotipico. Nel periodo prodromico possono essere riscontrate modificazioni emotive, che includono sospettosità, ansia, depressione, irritabilità con tendenza al ritiro e all’isolamento sociale e modificazioni cognitive, come difficoltà alla concentrazione, riduzione delle capacità di comportamento finalizzato, depersonalizzazione, dismorfofobia, modificazioni delle abitudini e dei comportamenti. Nella fase acuta il quadro clinico presenta eterogeneità per il manifestarsi dei sintomi positivi, negativi e deficit cognitivi, variamente combinati tra loro con prevalenza dell’uno o dell’altro. Nella fase residua segue la fase post-acuta, in questa fase i sintomi sintomi psicotici possono persistere, ma ad un minore livello di intensità. Si possono manifestare riesacerbazioni intercorrenti (precedute o meno da segni premonitori)

Il trattamento del paziente schizofrenico prevede attualmente tre tipi principali di strategie: -terapia farmacologica: prescritta allo scopo di controllare i sintomi e prevenire le ricadute della malattia. -interventi educativi e psicosociali: attuati per i pazienti e le loro famiglie, allo scopo di conoscere meglio la malattia, ridurre la stigmatizzazione che spesso ne consegue, migliorare la sua gestione, diminuire la disfunzione sociale che comporta. -riabilitazione sociale: attuati per favorire la reintegrazione sociale delle persone affette da schizofrenia, sfruttando le proprie capacità occupazionali ed educative. E’ fondamentale sottolineare l’importanza che le varie strategie terapeutiche si svolgano in maniera integrata, utilizzando, per esempio, i principi del case management; ciò assicura che vi siano obiettivi comuni e che il paziente e la famiglia comprendano il fine terapeutico.

Terapia farmacologica. I farmaci antipsicotici, utilizzati per trattare la schizofrenia, vengono divisi in due gruppi: -Antipsicotici standard (prima chiamati neurolettici) -Nuovi antipsicotici (chiamati anche antipsicotici ‘atipici’ o di seconda generazione). Antipsicotici standard o neurolettici: sono utili nel trattamento dei sintomi positivi della schizofrenia; possono anche essere utili nell’alleviare l’aggressività e l’impulsività. Gli effetti collaterali di questi farmaci sono principalmente a carico del sistema extrapiramidale (acatisia, discinesia, parkinsonismo). Non sembrano avere un’adeguata efficacia sui sintomi negativi come l’apatia, l’asocialità, la povertà di pensiero. Antipsicotici atipici: la caratteristica di questi nuovi antipsicotici è la loro capacità di migliorare i sintomi negativi e il loro minor rischio di indurre effetti extrapiramidali.

Educazione e trattamenti psicosociali. Risulta ormai da molti studi accertato che gli interventi psicosociali sono un complemento importante alle tecniche farmacologiche nel migliorare la prognosi e il decorso della schizofrenia. Gli interventi psicosociali mirano a ridurre le difficoltà sociali, cognitive e psicologiche, per facilitare il reinserimento sociale. In pratica gli interventi psicosociali cercano di migliorare l’insight della malattia, favorendo l’adesione al piano terapeutico; agevolano il recupero delle capacità sociali e prevengono le ricadute. I trattamenti sono rivolti sia al paziente che alla famiglia, che ha un ruolo importante nella gestione della malattia.

Riabilitazione alle competenze lavorative e sociali. Ha lo scopo di migliorare lo scarso outcome lavorativo dei pazienti schizofrenici, tenendo conto della complessità della patologia e della specifica individualità del soggetto.

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